Il pazzo abbronzato di Vicenza e la stretta di mano che cambiò tutto
Quando ripenso a quel viaggio, vedo acqua, sabbia e ferro.
E poi ancora acqua. Tanta acqua.
Avevo lasciato Lefkada undici giorni prima, con una barca di dieci metri sotto i piedi,
unFirst Beneteau 30, di proprietà di un simpatico sconosciuto italiano incontrato a fine estate alla marina,
dopo che aveva letto un mio annuncio suBolina in cui mi offrivo come skipper per trasferimenti nautici.
Ci accordammo per riportare la barca da Lefkada a Trieste.
Così iniziò un destino ancora tutto da scrivere.
La traversata fino a Trieste non fu una crociera.
Fu una specie di battesimo del mare.
Giorni e notti di vela tirata, di silenzi lunghi come oceani,
di approdi al buio, fortunatamente ben calibrati, nelle isole dell’Adriatico.
Centinaia di miglia d’acqua salata e pensieri che si rincorrevano come gabbiani affamati.
Quando sbarcai al Marina di Porto San Giorgio — o forse era Trieste,
o forse un altro porto ancora più sperduto — avevo perso il senso dello spazio e del tempo.
Appoggiai i piedi a terra, sentii la stessa vertigine di chi si ricorda, di colpo,
che la terra non è piatta. Non è mai stata piatta.
Non per chi ha il coraggio di navigarla.
La mattina dopo presi un treno.
Poi un altro.
Mi avvicinavo a Vicenza stropicciato, puzzolente di vento e sale,
con addosso quell’abbronzatura dura e scolpita che solo il mare vero sa regalare.
E con una convinzione che mi rimbombava nel petto:
“Sto andando a incontrare il futuro.”

L’incontro con Henning a Vicenza
Non c’era Google Maps.
Ma per fortuna c’erano i navigatori satellitari.
Per l’incontro a Vicenza, un indirizzo scritto su un foglietto stropicciato e la fiducia cieca di chi si affida al vento.
Il treno sobbalzava sulle giunture dei binari, lasciandomi il tempo di pensare.
E più mi avvicinavo, più una sensazione mi mordeva dentro:
“Questo incontro cambierà tutto.“
Vicenza mi accolse con quell’odore tipico delle città di provincia industriale:
una miscela sottile di umido, nebbia leggera e speranze a basso voltaggio.
Camminai per strade larghe e un po’ desolate, come se l’inverno avesse fatto il nido tra i portici.
Quando Henning mi aprì la porta del suo piccolo ufficio, fu come entrare in un altro mondo.
Pareti bianche, odore di caffè vecchio e di computer surriscaldati.
Pochi mobili. Nessuna apparenza.
Henning, più giovane di quanto me lo fossi immaginato, aveva gli occhi pieni di lampi.
Quegli occhi di chi vede prima degli altri.
Mi squadrò con curiosità, soffermandosi sull’abbronzatura che urlava “vengo da un altro pianeta”.
Fu allora che sorrisi e, senza pensarci troppo, buttai lì:
“Sono sbarcato ieri a Trieste, Henning. Dopo undici giorni di mare.
Ho portato su una barca da Lefkada, per pagarmi il viaggio.”
Il suo sorriso si aprì come una vela tesa dal vento.
Non servivano altre presentazioni: tra uomini di mare ci si riconosce subito.
Quel pranzo insieme, in una trattoria dai tavoli sbeccati ma dalla cucina sincera,
fu la vera firma del nostro patto non scritto.
Tra un piatto di baccalà e un calice di Tocai, Henning mi parlò di Internet come se parlasse di una nuova terra promessa.
Io ascoltavo, con la mente che già navigava oltre l’orizzonte.
Non c’erano contratti.
Non c’erano business plan.
C’erano solo due uomini liberi che si fidavano l’uno dell’altro.
E tanto bastava.
La decisione
Dopo il pranzo, tornati in ufficio, Henning non perse tempo.
“Facciamolo,” disse.
“Costruiamo questo sito.
Ma deve essere tuo, deve avere la tua voce.”
Non propose contratti.
Non propose tabelle excel.
Non propose pacchetti preconfezionati.
Mi offrì fiducia.
Pura.
Senza filtri.
E io, che non avevo mai creduto nei paracaduti,
sorrisi.
Era come stringere la mano a un compagno di equipaggio prima di salpare verso l’ignoto.
La nascita del primo Lefkadatour.com
Non c’era ancora un nome.
Non c’era ancora un logo.
Non c’era ancora nulla.
Solo l’idea semplice e potente che un’isola autentica come Lefkada meritasse di essere raccontata.
Non dai tour operator romani arricchiti.
Non dai cataloghi plastificati.
Non da brochure piene di promesse vuote.
Ma da chi l’aveva vissuta sulla pelle.
Da chi aveva assaggiato il suo vento, ascoltato le sue cicale, stretto mani callose di veri marinai.
Da quando nacque il seme.
Con una singola pagina blu elettrico per casa nostra su: IlTrovavacanze.
Poche righe scritte senza retorica.
Foto scattate al volo.
Prezzi onesti.
Alla prima vendita della pagina blu online proposta agli albergatori lefkadini, passarono 2 anni. Poi arrivò il trasferimento nautico da Lefkada a Trieste, che mi portò a Vicenza per conoscere personalmente Henning, il demiurgo del web. Qui stipulammo l’accordo verbale a cui fece seguito la costruzione del sito: www.lefkadatour.com, così, sulla parola.
Quindi… il silenzio.
Il primo squillo
Settimane, poi mesi di lavoro, per creare le pagine del sito una ad una. Giorni interminabili di attesa.
Di domande. Di dubbi che scavavano la mente come vermi.
Poi, una mattina di maggio del 2005, mentre stavo sistemando le sedie del ristorante sotto un sole cocente,
il telefono squillò.
Non era un fornitore. Non era un cliente abituale.
Era una voce nuova.
Italiana.
Di Bologna, per l’esattezza.
“Ciao… ho visto il vostro annuncio.
Avete ancora disponibilità?”
In quel preciso momento, Lefkadatour non era più un’idea.
Era realtà.
Epilogo
Chi parte con una barca e una tazza di caffè tra le mani porta con sé molto più del vento: porta una promessa, un atto di fede.
Questo viaggio non è solo una rotta tracciata sulla carta, ma una sfida viva contro le proprie paure, i limiti, le convenzioni.
Il pazzo abbronzato di Vicenza, con il suo sorriso ironico e la pelle segnata dal sole, non ci racconta soltanto di mare e di nodi: ci racconta di libertà.
E tu? Sei pronto a prendere il largo?
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